Conosciamo ben poco, per non dire niente d’importante, di come Atripalda ha vissuto il ventennio fascista o di come è stata affrontata la ricostruzione post-bellica, e si potrebbe continuare con un elenco non breve
Non era previsto un mio ulteriore intervento relativo al terremoto del 1980, ma dalle iniziative realizzatesi sono emersi spunti interessanti per una riflessione più approfondita. In altre occasioni è stata notata l’innata propensione degli atripaldesi a non curarsi delle proprie memorie, con la conseguenza che ci ritroviamo probabilmente a essere il fanalino di coda rispetto ad altri comuni medi e piccoli della provincia irpina per quanto concerne gli approfondimenti su aspetti della storia locale. Per esempio, escluso qualche accenno riportato dal prof. F. Barra nel suo lavoro Atripalda: profilo storico, conosciamo ben poco, per non dire niente d’importante, di come Atripalda ha vissuto il ventennio fascista o di come è stata affrontata la ricostruzione post-bellica, e si potrebbe continuare con un elenco non breve. Attenendoci all’osservazione di quanto è emerso nell’occasione della ricorrenza del trentennale del terremoto, i cittadini, pochi in verità, che hanno seguito le esigue iniziative che si sono tenute, hanno potuto notare l’assenza quasi totale dei protagonisti politici del tempo. Dove erano il sindaco, gli assessori, i capigruppo consiliari, i consiglieri, i segretari di partito, i costruttori, i fornitori, i progettisti del 1980? Stiamo parlando di personalità che a suo tempo hanno assunto decisioni importanti per lo sviluppo attuale della città, e che per questo avrebbero potuto condividere testimonianze preziose con un’intera generazione che non ha conosciuto, fortunatamente, il terremoto. Sembra quasi che sia calata una coltre silenziosa su quelle vicende. Un problema serio, ma forse neanche il più importante.
Altri infatti sono gli aspetti che fanno pensare. Questo scritto in particolare nasce da un ricordo. Nel 1990, quando ricoprivo la carica di delegato all’Igiene Pubblica, Verde e Ambiente, si era pensato di dotare Atripalda, in speciale modo i nuovi insediamenti di c.da Santissimo e c.da Alvanite, di un moderno sistema antincendio e di un impianto per l’irrigazione degli spazi verdi. Sulla scorta delle reminiscenze e a partire dalle mappe catastali si cercò di individuare la collocazione dei vecchi pozzi presenti nelle zone citate, ma ciò non fu possibile perché, con grande sorpresa, si scoprì che l’ufficio preposto non possedeva gli elaborati tecnici dei due quartieri.
Per essere più chiari: in caso di una nuova sciagura come quella del 1980, dieci anni dopo oltre un quarto della popolazione atripaldese in base ai documenti ufficiali e alle mappe in possesso di eventuali soccorritori di fatto non sarebbe esistita. Solo dopo due “spedizioni” a Napoli, dall’arch. Colombo, da parte di impiegati addetti, i documenti furono rinvenuti presso lo studio di un progettista… di Atripalda, dove, secondo quello che venne riferito a me e al sindaco del tempo, essi erano “custoditi”. Per maggiore sicurezza, e non solo per quella, su proposta dell’assessore all’Urbanistica venne in quell’occasione effettuata un’aerofotogrammetria. Questo può sembrare un episodio non pertinente rispetto alla premessa, ma così non è, perché sommato ad altri fatti ci porta a escludere una pura casualità e a ritenere che si sia realizzata col tempo una rimozione della memoria.
Dopo qualche mese dalla tragedia del 1980 ebbi modo di vedere assieme ad altre decine di persone un filmato professionale girato non molti giorni dopo il sisma, che documentava strada per strada i danni subiti dalla nostra città. Quel filmato sembra scomparso, come sembrano scomparse le foto di una mostra sullo stesso argomento allestita, se ricordo bene, nel 1984. Nel 2005 la Pro Loco realizzò un’altra mostra, davvero ben fatta, sul terremoto, e parte del materiale è stato utilizzato anche per quella attuale presente presso la sede di via Roma, ma le foto esposte in stragrande maggioranza sono relative alla fase successiva agli abbattimenti.
Ho constatato che la catalogazione degli atti amministrativi a completamento dell’archivio storico è ferma al 1945. Si sente il bisogno di invertire questa tendenza: Atripalda deve sentire la necessità di riappropriarsi del proprio passato, piccolo o grande che sia. Accanto agli sforzi lodevoli di pochi cultori della memoria locale deve svilupparsi, attraverso gli studiosi, i giovani studenti, i cittadini, un movimento che porti a colmare questo vuoto. Chiunque abbia materiale che interessi la collettività ha l’obbligo morale di condividerlo, di metterlo a disposizione, per ricostruire nel modo più completo possibile la nostra storia passata e recente.
L’Amministrazione comunale, le istituzioni interessate, devono in ogni modo favorire questo processo perché una comunità vive anche attraverso i suoi ricordi e la sua memoria collettiva, senza i quali e in assenza di un disegno organico il degrado diventa inarrestabile.
Biagio Venezia