Martedì, 16 Lug 24

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Un Natale diverso

In giro vi è molta apprensione, tristezza e malinconia

All’epoca a cui risalgono i miei ricordi, ovvero all’inizio degli anni cinquanta, nonostante le condizioni sociali fossero completamente diverse da quelle di oggi e il tasso di benessere fosse molto meno diffuso, il Natale era atteso con particolare e genuina gioia. Erano anni di dignitosa povertà, fatti di scarpe rotte ma lucidissime, di abiti rattoppati ma diligentemente stirati. Non erano presenti alberi di natale dai colori improbabili seppur intonati all’arredo casalingo, ma anche nella casa o nel basso più modesto di Capo la Torre, di vico Pergola, vico Caprari o di quelli di via Tripoli, non mancava una frasca di Pino Domestico addobbata con qualche mandarino e delle caramelle – quelle zigrinate di Don Gioacchino Limongelli. Oppure un piccolo presepe costruito con cura, pazienza e fatica che risultava sempre significativo anche nell’essenzialità dei pochi pastori che rappresentavano la Sacra Famiglia. Non era raro che il tutto venisse rischiarato dalla vivida luce di un lume a carburo. Difficilmente per la vigilia sarebbe mancato il capitone e per la Befana qualche modesto giocattolo per i propri figlioli.

Poi arrivarono gli anni del cosiddetto benessere, dal cenone cominciarono a sparire le scarole ripiene, il baccalà con il sedano (accio e baccalà), i peperoni imbottiti, le zeppole di baccalà, gli struffoli, i pinoli delle pigne messe ad aprire sul fuoco del braciere. Era il sapere e non solo i sapori e gli odori della nostra cultura contadina che in realtà iniziavano a scomparire. Cominciò a diffondersi la tredicesima, per chi aveva la fortuna di un lavoro stabile, e con essa l’attesa per fare acquisti utili ma a volte anche superflui. Il denaro cominciava a girare e con esso le vetrine di piccoli e grandi negozi scintillavano e ammaliavano. Poi cominciò il periodo in cui la tredicesima veniva finalizzata per acquisti più impegnativi, per esempio il televisore o il frigorifero o qualche capo di vestiario meno usuale. Oggi non è più così, la crisi economica che stiamo attraversando morde, la festa di gioia è attesa e vissuta con ansia, perché il pensiero corre ai figli senza reddito, alla disoccupazione giovanile che ha raggiunto negli ultimi vent’anni livelli esorbitanti, alla cassa integrazione, a nuove figure come gli esodati che non percepiscono né stipendio né pensione. L’aumento degli obblighi a tutti i livelli (tariffe, tasse, tributi e imposte), quasi concertati con azione sinergica tra Stato, Regioni, Province e Comuni, ha costretto la maggioranza dei cittadini – non solo operai e pensionati, ma anche quello che veniva definito il ceto medio – a impegnare già da mesi la tredicesima sottraendola ai consumi. Tutto questo giustificato prima con l’irresponsabile leggerezza del “bunga-bunga” e dopo con l’iniquo tecnicismo del “banca-banca”. Vi è molta apprensione, tristezza e malinconia in giro, il vedere negozi chiusi per il corso di Avellino o per quelle che una volta erano le vie dello shopping ha un sapore amaro, perciò quest’anno il Natale sarà sicuramente diverso, ma con tutto ciò l’augurio resterà lo stesso: Buon Natale!

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