Sabato, 27 Lug 24

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Oltre il torrente

Il ruolo dei piccoli fiumi come il Salzola ed il Rigatone nello sviluppo industriale della città

L'interno della ramiera

Nel nostro viaggio tra passato e presente nella memoria di Atripalda non poteva mancare uno sguardo sui fiumi e sui torrenti che attraversano la nostra cittadina. Oltre il Sabato, il nostro fiume per antonomasia, che vediamo ogni giorno tagliare letteralmente in due il centro abitato, hanno una loro rilevanza anche il Salzola e il Rigatore. Perché, ci si chiederà, soffermarsi su semplici fiumiciattoli, poco più che ruscelli? In passato questi torrenti non hanno rappresentato soltanto un aspetto del paesaggio, ma hanno avuto un ruolo importante nello sviluppo di una città che vantava anche una discreta attività industriale. Industrie che prima dell’invenzione della macchina a vapore e poi dell’energia elettrica venivano azionate dall’energia idraulica.

Parleremo in questo contributo del più breve dei tre corsi d'acqua citati: il Salzola, che nasce a Salza e si immette nel Sabato all’altezza della villa comunale. Sulle rive di questo torrente - conosciuto anche, se non addirittura principalmente, come “Acquachiara” e “Fiumitello” - molteplici sono state le attività sorte e funzionanti nel tempo. La più importante è stata sicuramente il mulino-pastificio di Antonio Piccolo e figli situato a Largo Fiumitello al posto del grosso palazzo che oggi ospita attività commerciali e abitazioni. Come pastificio, per oltre settantanni ha prodotto pasta soprattutto per esportazione e ha dato lavoro a decine di operai, favorendo un’immigrazione dai centri della Campania di lavoratori specializzati nell’arte bianca che poi sono restati ad Atripalda. Come mulino, ha funzionato fino agli anni Novanta del secolo scorso attraendo anche clienti dai comuni limitrofi. Dal Salzola non riceveva solo l’acqua per muovere gli ingranaggi, ma anche quella per impastare da una sorgente situata in prossimità del fiume. Durante la seconda guerra mondiale, i tedeschi in ritirata dopo lo sbarco degli alleati a Salerno minarono il ponte adiacente, strategicamente ininfluente, causando enormi danni alla cabina elettrica che riforniva la città e allo stesso mulino-pastificio. Mi è stato raccontato che alcuni antifascisti capeggiati da mastro Annibale Petrone, il simpatico vecchietto ex armiere e lattoniere che girava decine di anni fa in piedi su un motorino e che molti ricorderanno, tentarono di impedire la posa delle mine, ma la presenza della postazione di una mitragliatrice situata nell’ex palazzo Oliva, abbattuto nel dopo terremoto, proprio di fronte al ponte, dissuase quei pochi ardimentosi. Avendoli conosciuti quasi tutti personalmente, posso attestare che, anche dopo tanti anni, quelle persone non recriminarono su un’operazione non riuscita, anzi ne erano ben felici avendo conosciuto dopo la liberazione quale reazione avessero i tedeschi nei confronti di comunità che si opponevano loro. L’attuale ponticello ricostruito risale al dopoguerra, come l’ala del pastificio e della cabina elettrica distrutte dalla deflagrazione.

Un impulso notevole a una particolare forma di agricoltura derivava dalle acque del Salzola prima che quell’area venisse utilizzata per gli insediamenti del dopoterremoto: prefabbricati e centro religioso, la piccola zona denominata contrada Isca era adibita attraverso i semenzai alla coltivazione delle piantine da riproduzione che trovavano collocazione sia sul mercato di Atripalda che di altri comuni. Tutto ciò era reso possibile da una serie di canali provenienti da sbarramenti posti a monte della suddetta zona. Sulla riva sinistra alle spalle delle case di via San Giacomo, sulla piccola striscia di terra tra fiume e abitazioni, venivano prodotti verdure e ortaggi principalmente per l’autoconsumo. Da questa circostanza deriva probabilmente l’antico toponimo ‘ncapo all’ortole, mentre l'area di fronte era nota come àrreto a valchera, conferma questa che in tempi remoti era lì presente una gualchiera per la lavorazione della lana, impianto che aveva necessariamente bisogno di acqua. Caratteristica del periodo estivo era inoltrre la costruzione del camasso, sbarramento di pertiche e rami di castagno in prossimità del ponte di Fiumitello che, con l'aiuto di un canale, serviva all’irrigazione di tutta la zona fino all’estremità del territorio comunale a Pianodardine, altri sbarramenti per lo stesso scopo si trovavano lungo tutto il corso superiore.

Risalendo il corso del Salzola possono ancora trovarsi diverse sorgenti di acque un tempo potabili che hanno dissetato generazioni di cittadini e contadini. La più utilizzata dagli atripaldesi si trova a metà strada tra la galleria del nuovo acquedotto di Napoli e l’inizio della salita di Acquachiara che porta a contrada Pettirossi; l’utilizzo di quest’acqua per la sua leggerezza era addirittura raccomandato dai medici per malati, anziani e bambini. Non mancava in territorio di San Potito una sorgente di acqua sulfurea che era attinta per curare infiammazioni sia interne che esterne, nonché per essere ingerita in molti casi di affezioni dell’apparato digerente. Oggi tali pratiche sono del tutto scomparse sia per la non conoscenza di tali proprietà sia per il generalizzato inquinamento del terreno. L’acqua del Salzola si è sempre contraddistinta per una straordinaria limpidezza dovuta sicuramente al suo breve corso e all’apporto delle sorgenti di Salza Irpina e Sorbo Serpico (Saliceto), che ne fanno uno dei fiumi più pescosi della zona. A qualche chilometro di distanza sulla riva destra del fiume, in comune di San Potito Ultra si trova, anche se dismessa, un’antica ramiera che ha avuto nel passato una notevole importanza. Oggi essa è un raro e suggestivo esempio di archeologia industriale della nostra provincia. In quella che oggi è contrada Ramiera era presente un concentrato di piccole attività industriali, dolciarie, filande, mulini, che, sfruttando l’acqua del fiume a fini energetici, avevano trovato in quel posto una loro naturale e conveniente collocazione. Il maggiore artefice di questa realtà è stato a suo tempo un nostro concittadino, Nicola Salvi (1799-1880), che da esperto imprenditore del ferro già proprietario e conduttore di ferriere per conto dei Caracciolo ad Atripalda e Serino, nel 1841 nei pressi di una piccola e vecchia ramiera in una zona che da allora prese il nome di campo Salvi, realizzò la costruzione di canali per creare una ferriera utilizzando un sistema innovativo per la produzione energetica imperniato sulla cosiddetta tromba idroeolica, che generava un flusso d’aria forzato per l’alimentazione dei fuochi per la fusione del ferro prima e del rame dopo. A valle e frontalmente alla ramiera, in modo da sfruttare l’acqua di scarico, vi erano due mulini appartenenti alla vedova Cocchia famiglia anch’essa originaria di Atripalda. Caso strano che poco viene pubblicizzato è che dal 1500 fino all’Unità d’Italia vigeva un’emigrazione di maestranze del nord verso le nostre zone, anche quelle interne, uno di questi casi riguarda la famiglia Salvi originaria della Liguria. Nicola Salvi fu vicepresidente della Camera di Commercio di Avellino nel 1864 e consigliere comunale di Atripalda, abitava alle spalle del convento di S. Maria della Purità, in via Pergola palazzo Cocchia. Ma la storia della ramiera è legata fortemente ad Atripalda, dopo Salvi i proprietari sono stati: Sabino Petrone, Orazio Lapis, Salvatore Aquino, fino ad Argeo Giustozzi, sposato ad Atripalda, genero di Giovanni Zuccaro (Zuccariello). Fino al 1960 tale attività ha funzionato con l’energia idraulica, poi venne utilizzata l’energia elettrica fino al 1985 quando venne chiusa per la tragica scomparsa del Giustozzi (l’ultimo degli operai atripaldesi è stato Alfredo Cocchia). Nel verificare in loco lo stato del manufatto mi ha incuriosito l’intitolazione dello spazio antistante a un tale Adamoli, non avendolo mai sentito nominare ho approfondito e mi sono imbattuto in una straordinaria figura tipica della stirpe irpina. Gelasio Adamoli era nato nella contrada nel 1907 ed è morto a Genova nel 1978, è stato un politico e giornalista, partigiano, parlamentare e Sindaco di Genova, nonché presidente di associazioni culturali internazionali, una fulgida figura di combattente tanto che alla sua morte l’allora presidente Pertini scrisse: «era un uomo retto, devoto alla causa della libertà […] come sindaco di Genova riuscì a farsi amare anche dagli avversari politici più tenaci…».

Mentre i rumori del maglio si diffondevano nella vallata del Salzola altri meccanismi erano in funzione, come le ruote dei mulini di Don Nicola - con i resti di un’antica cartiera -, di Porfido, di Cavaliere i cui ruderi sono ancora presenti, ed anche in questi la presenza di atripaldesi è stata determinante. Da diversi anni il comune di San Potito Ultra porta avanti un progetto per la creazione di un Parco fluviale; negli ultimi tempi, anche per il cambio di amministrazione, l’iniziativa ha perso vigore. Sarebbe opportuno che il nostro comune diventasse parte attiva nella realizzazione del progetto che sarebbe, oltre che un’azione di recupero ambientale in una zona non ancora compromessa ricca di una vegetazione alborea - Ontani napoletani, Pioppi bianchi, Querce e Acacie - un riconoscimento di fatto del lavoro e della tenacia di tanti atripaldesi.

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