Sabato, 27 Lug 24

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La città silente

Qualcosa di essenziale rischia di essersi irrimediabilmente perso

Quando ho immaginato un titolo per quello che volevo scrivere questa settimana, mi è venuto spontaneo quello che leggete in capo a quest’intervento. Mi piaceva, però sentivo che qualcosa non andava, ed essendomi abituato ai condizionamenti inconsapevoli che come un sedimento rimangono dentro di noi sono andato a controllare qualche eventuale riferimento. Con grande sorpresa ho scoperto Silent Hill, quale famoso, ma a me sconosciuto, gioco per computer nonché film di un certo successo.

Fortunatamente Atripalda non ha nessuna similitudine con Centralia, la città della Pennsylvania che ha ispirato Silent Hill. Eppure, pensando alla nostra cittadina, a venirmi in mente è stato proprio un assordante silenzio. Nonostante le luci e i suoni esteriori non si siano mai spenti e anzi siano destinati a moltiplicarsi, qualcosa di essenziale rischia di essersi irrimediabilmente perso. Nel suo passato più o meno recente, e soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, Atripalda ha sempre dimostrato una vivacità politica e culturale notevole cui aveva corrisposto una forma di associazionismo sociale straordinario. La radicata presenza dei partiti politici, l’organizzazione religiosa attraverso le congreghe, i circoli sportivi esprimevano luoghi di confronto intenso che diventavano a volte, specialmente per i giovani, vere e proprie scuole formative. La piazza, come già ho avuto modo di scrivere in altre occasioni, era il luogo collettivo di tale confronto, caratterizzata da personaggi che per la loro formazione politica e sociale sollecitavano con le loro opinioni discussioni e raffronti su tutti gli aspetti. Le stesse sedute del Consiglio comunale erano affollate e non poche volte si è avuto modo di vedere consiglieri intimoriti da tale partecipata presenza. Oggi non è più così. Quando s’intravede un gruppo, un capannello di persone, è molto probabile che si stia discutendo di calcio, e dico questo non per denigrare tali discussioni, ma per sottolineare che si è persa quella verve, quella vis polemica che tanto ha contraddistinto l’identità sociale di tanti atripaldesi. Ma quando è iniziato questo processo? Io credo che in generale sia iniziato negli anni Novanta del secolo scorso con la caduta del muro di Berlino, l’abbattimento delle barriere est-ovest, e la conseguente fine delle ideologie. Questa disgregazione politica ha comportato una sorta di omologazione affermando un sistema che, pur risultando certamente più liberale del cosiddetto “socialismo reale”, non è certo esente da difetti che generano profonde ingiustizie. Si è sminuito o addirittura cancellato il senso di appartenenza a una comunità piccola e orgogliosa del suo essere piccola, e l’orgoglio per le proprie radici si è disperso in una indistinta, seppur importante, multiculturalità. L’affievolirsi della discussione pubblica ha portato alla scomparsa del controllo dal basso che rappresenta un’irrinunciabile testimonianza della democraticità. La socializzazione televisiva di massa e il peso degli interessi economici dei grandi media, sommato al potere della burocrazia pubblica, alimenta costantemente la manipolazione dei fatti. Non è un caso che grandi fortune politiche hanno avuto come pilastri portanti queste condizioni di base.

Qual è la situazione nella nostra città? Tolto qualche comizio, che non può certamente rientrare nella sfera del dibattito così come lo abbiamo inteso, ovvero come scambio continuo e approfondimento dello spirito critico, resta poco o niente. L’operato di alcuni, come Don Gerardo Capaldo, che pervicacemente anche se con risultati non certamente incoraggianti, riesce a mantenere alto il momento del confronto sulle questioni più importanti. Altro punto di riferimento è la Confraternita di S. Monica presso la restaurata chiesa di S. Nicola che ha ospitato in questi ultimi anni diverse iniziative. Troppo poco per una città come Atripalda dove le problematiche locali sono molteplici e andrebbero efficacemente dibattute non escludendo il confronto su tematiche di più ampio respiro. Bisogna che alcuni luoghi simbolo di aggregazione e di condivisione ritornino ad attrarre, anche con iniziative innovative, quanti più giovani possibili per poter dare loro dei valori che interessino non soltanto l’apparenza ma il loro essere.

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