Storia di un luogo che evoca profonde suggestioni a vent’anni dall’inaugurazione
Sulla sommità della salita che da via Palazzo porta alla c.da rurale di San Gregorio, appena dopo i binari della linea ferroviaria Avellino-Rocchetta S.A., vi è un gruppo di massi chiamato “Preta ’ra Maronna”. L’origine del nome non è nota, qualche leggenda narra che su di esso si sia seduta in un tempo indefinito la Vergine; qualche altra, più plausibile, riporta che a trovare riposo sul quel gruppo di pietre sia stato San Guglielmo da Vercelli quando, dopo aver fondato l’abbazia del Goleto, era alla ricerca di un ulteriore luogo su cui edificare un nuovo romitorio. Durante questa sosta ebbe modo di ammirare di fronte a sé una vista davvero pregevole: la maestosa catena dei monti del Partenio e quindi quella che sarebbe stata la futura Montevergine, che lui stesso scelse come proprio rifugio e che proprio grazie a lui divenne luogo di meditazione e di culto.
Nel mio viaggio nella memoria cittadina non potevo non soffermarmi su un luogo come questo, che evoca immediatamente profonde suggestioni, che derivano anche dal mistero attorno al nome che nel tempo gli è stato dato. Interpellando persone anziane ho potuto constatare che tale toponimo è in uso da tempo immemore, ma anche che si è notevolmente rafforzato durante la seconda guerra mondiale. Durante l’ultimo conflitto le due gallerie ferroviarie che si trovano nelle prossimità (galleria dell’Acquachiara di 146 m e della Gelsa di 372 m, quest’ultima popolarmente definita della Cerza) divennero il rifugio per mesi di molti atripaldesi e avellinesi che nel 1943 sfuggirono ai bombardamenti che interessarono principalmente Avellino, ma non risparmiarono Atripalda, che pure fortunatamente contò solo tre vittime – di cui una colpita proprio sui binari – rispetto alle tremila di Avellino. In quella circostanza le funzioni religiose si tenevano all’interno delle gallerie; durante i periodi di calma, quando non si sentiva il rombo degli aerei, si spostavano sulla Preta ’ra Maronna. Da allora il termine è diventato tanto comune che non se ne conosce altro. Già da tanto tempo quei massi erano diventati la sosta obbligata dei contadini che dopo l’aspra salita erano soliti riposarsi e far riposare i propri asini presso quelle rocce.
Prima di scrivere questa breve nota mi sono recato sul luogo, come abitualmente faccio, e ho constatato che le pietre appositamente lavorate con un foro centrale per legare i finimenti degli asini sono state progressivamente asportate: non è difficile immaginare che attualmente abbelliscano qualche lussuosa “villa campestre”, conferendole un’aura di antichità. All’inizio degli anni novanta chi scrive era Consigliere comunale con il ruolo di delegato all’Ambiente e al Verde pubblico; in quella veste mi proposi di recuperare, nei limiti del possibile, tutti i luoghi della nostra memoria collettiva, e tra questi ’a Preta ’ra Maronna. Il luogo che era come altri divenuto una discarica venne ripulito e i massi riportati alla luce; contestualmente vi fu un’opera di sensibilizzazione che portò alla costituzione di un comitato di contadini che furono ben lieti di contribuire al recupero e alla valorizzazione del posto. Da parte di un tecnico del comune si ebbe la realizzazione di un progetto di massima e cominciarono i lavori; come sempre vi fu chi ideò, chi lavorò, chi donò materiale e chi si dedicò quasi esclusivamente al reperimento di fondi attraverso pubblica sottoscrizione. Da parte mia va ancora oggi un doveroso ringraziamento a quanti fecero e non lo estendo a chi si preoccupa soltanto di apparire. Fu così possibile recuperare parte dei materiali: la pietra piatta che funge da altare, il basamento su cui poggia la statua della Madonna di Lourdes, l’acquasantiera che era un abbeveratoio, il leggio, ecc. vennero reperiti nell’attuale Parco pubblico dove giacevano abbandonati. Un meraviglioso giardino roccioso venne realizzato con una accurata scelta di piante che in parte resistono ancora oggi, un potente faro da monumenti venne posto su un palo dell’illuminazione pubblica (senza spendere una lira) e non è un’esagerazione sostenere che i treni in transito di sera rallentavano per far ammirare tutto l’insieme. Nei venti anni che sono passati da quando venne inaugurata, da Mons. Antonio Forte vescovo di Avellino, la grotta nessun atto vandalico è stato mai perpetrato (se tale non si vuol considerare l’orrendo muro in cemento permesso a un privato dall’amministrazione in carica nel 2000), a testimonianza del rispetto a quello che è diventato un vero e proprio luogo di culto. La nostra Signora del Rosario che come affermò Santa Bernadette Soubirous sulla rupe di Massabielle «…vestita di bianco. Indossava un abito bianco, un velo bianco, una cintura blu ed una rosa gialla sui piedi» veglia dall’alto sulle sorti di Atripalda. Rispettiamola.