Atripalda ha vissuto le giornate più difficili e drammatiche dal terremoto dell’80 e dal “nevone” del ’73. Tanti gli straordinari esempi di impegno e generosità, ma non sono mancati confusione e approssimazione
Anche se il peggio sembra ormai alle spalle, è ancora presto per tirare le somme, in tutti i sensi, dell’eccezionale nevicata che ha colpito la nostra città sin dall’alba di venerdì scorso. Dovrà passare ancora un po’ di tempo, infatti, per “dimenticare” i disagi, la paura e i danni che quello che sarà ricordato a lungo come il “nevone” del 2012 e la fine dell’emergenza.
Già, perché quella appena trascorsa, è stata davvero una grande emergenza. In tutti i sensi. Era dal novembre del 1973 che ad Atripalda non accadeva qualcosa del genere (gli altri precedenti risalgono al 2003 e prim’ancora al 1985, oppure al 1956 per chi lo ricorda): la neve è arrivata a 50-60 cm. in centro e a oltre un metro nelle zone collinari, mettendo in ginocchio l’intera città, colta di sorpresa nonostante le previsioni meteo avessero in qualche modo annunciato l’eccezionale precipitazione. Difficile, se non impossibile, tracciare un bilancio completo di quanto accaduto, ma tutti, proprio tutti, hanno dovuto fare i conti con piccoli o grandi problemi. Fortunatamente non si sono registrate vittime (come in altri paesi della provincia), ma gli incidenti non sono mancati (soprattutto a causa di brutti scivoloni sul ghiaccio o delle cadute di neve dai tetti), i danni agli edifici, alle auto, agli alberi, al patrimonio e alle casse comunali ancora non si contano. Già, perché l’emergenza è costata molto anche in termini economici, sicuramente molto di più di quanto i cittadini, i commercianti, gli imprenditori e lo stesso Comune potessero permettersi in una fase di grave crisi. Si stima che, alla fine, l’ultima settimana costerà alle casse comunali circa 100mila euro (forse la Regione ne riconoscerà… 4mila) per pagare le ditte private che hanno messo a disposizione uomini e mezzi, il lavoro straordinario dei dipendenti comunali e il… sale sparso a quintali lungo le strade cittadine. E non si sa ancora se esiste il modo per reperire le risorse necessarie a portar via gli enormi cumuli di neve ammassati in ogni angolo della città.
A soffrire di più sono state senz’altro le periferie: basti pensare che alcuni punti più isolati sono divenuti accessibili solo dopo alcuni giorni. A contrada Alvanite, Castello, Giacchi, Certete, Pettirossi hanno vissuto l’«inferno» bianco: mancanza di energia elettrica, impossibilità a muoversi, soccorsi in ritardo e tanta paura. A Cupa Lauri soltanto mercoledì scorso è stato possibile portare aiuto ad un 79enne che viveva solo, Remigio Ruda, rimasto senza elettricità e senza assistenza per cinque giorni perché la sua abitazione era praticamente isolata e inaccessibile. Ma di storie simili forse ce ne sono molte altre.
Le scuole sono rimaste chiuse per dieci giorni (compresi i festivi) e, al momento, ancora non si sa per certo se riapriranno lunedì mattina. Un grosso ramo ha danneggiato la tettoia all’ingresso della Primaria di via Roma e prima di riaprire il cancello sarà necessario ripristinare le condizioni di sicurezza. Ma, in generale, tutti i plessi scolastici andranno ripuliti dalla neve e dai rami spezzati prima che ricomincino le lezioni.
Lungo le strade della città si sono ammassate circa 15 tonnellate di rifiuti (nonostante l’invito del sindaco a trattenerli in casa) che IrpiniAmbiente sta lentamente, da giovedì scorso, cominciando a raccogliere.
L’intera settimana, tuttavia, è stata segnata dalle polemiche. Una serie di episodi, ma soprattutto la sensazione che non vi fosse un vero e proprio coordinamento, ha generato un clima di tensione che non ha contribuito a rendere la situazione meno complicata di quanto oggettivamente già non fosse e ha pesantemente condizionato anche chi, in qualche modo, ha cercato di rendersi utile. È sembrato, in sostanza, che vi fossero troppi “generali” e poche “truppe” e che le operazioni non fossero frutto di una logica, ma dell’improvvisazione. Ma, al tempo stesso, è stato il senso di comunità e di solidarietà (tranne in qualche caso), che in casi come questi esalta e rinvigorisce, ad essere venuto clamorosamente meno, segnando una dolorosa sconfitta sociale e politica, più amara ancora dell’emergenza in sé. Dal punto di vista dell’organizzazione, delle risorse e delle capacità, l’eccezionale nevicata non poteva capitare in un momento peggiore. L’Amministrazione comunale, ormai al capolinea, ridotta all’osso, lacerata da invidie e veleni e con la testa già in campagna elettorale, si è ritrovata completamente sguarnita e senza lucidità. Ma, in generale, sono stati i partiti e gli uomini politici che si dicono interessati al bene comune, gli stessi dai quali fra qualche settimana sentiremo ricette miracolistiche o affascinanti promesse, ad essersi completamente eclissati, spariti, squagliati, nascosti, senza fornire alcun contributo né teorico, né pratico, per fronteggiare l’emergenza, dimostrando tutta l’inadeguatezza possibile. Basti pensare che per quasi tutta la settimana ha “dominato” il caso-Moschella. Il consigliere comunale con delega alla Protezione civile è stato al centro dei pensieri di molti: una specie di “Johnny Rambo” per alcuni; un “esaltato predatore di voti” secondo altri. In ogni caso, comunque, Moschella ha risolto e ha procurato parecchi guai, fino al punto che il sindaco Laurenzano, domenica scorsa, aveva anche predisposto (e poi stracciato) un decreto di revoca della delega alla Protezione civile dopo la minaccia di “ammutinamento” da parte sia di dipendenti comunali che di amministratori, infastiditi dai “sistemi” di lavoro del consigliere che, anziché agire in sinergia col resto dell’unità di crisi, preferiva muoversi liberamente, fidandosi solo del suo istinto, creando, evidentemente, qualche problema di troppo. Il consigliere si è giustificando dichiarando: «E’ solo invidia: mentre loro hanno preferito stare ore a discutere inutilmente, io mi sono preoccupato di stare sulla strada, con i miei mezzi, per verificare personalmente cosa si potesse realmente fare, da solo e senza l’aiuto delle risorse comunali, che mi sono state negate. Mi accusano di essere già in campagna elettorale? Rispondo che Moschella è sempre in campagna elettorale, tutti i giorni, non solo in prossimità delle elezioni. So solo che se non fosse stato per me e per la mia determinazione, molte persone sarebbero ancora in difficoltà, come Remigio Ruda, rimasto isolato per cinque giorni a Cupa Lauri, senza corrente. Quando tutto sarà finito, chiariremo ogni aspetto. Molte persone mi hanno deluso e sottovalutato: oggi mi accorgo che è stato un bene per me non essere stato nominato assessore perché mi considero più libero di decidere d’ora in poi con chi stare…».
E, inoltre, nell’era della comunicazione e di internet, quasi nessuno ha avvertito l’esigenza di utilizzare i media, soprattutto quelli online nelle fasi più concitate e drammatiche, per veicolare a tamburo battente informazioni utili, suggerimenti, avvertimenti e aggiornamenti in tempo reale (e non i “soliti” comunicati stampa). Il nostro sito internet ha registrato negli ultimi sette giorni oltre 50mila visite, il triplo di quanto avviene normalmente (e lo stesso, supponiamo, sia accaduto alle altre testate online), ma quasi nessuno ha ritenuto utile “approfittarne” seriamente. Ma l’emergenza ha anche svelato un’altra dura verità: Atripalda, aldilà delle “chiacchiere”, non ha un Piano di protezione civile. In altre parole, in casi come quelli che abbiamo vissuto, non si sa cosa fare. Nel documento di 138 pagine denominato “Piano di protezione civile di Atripalda” la parola “neve” è citata una sola volta e quasi per sbaglio: non c’è il minimo riferimento né alle priorità, né alle risorse, né ai mezzi e né alle strategie. Insomma, non serve a nulla o forse è servito solo a chi lo ha scritto… Detto questo, però, faremmo un grave torto a chi ha lavorato senza sosta, sacrificando se stesso e la propria famiglia, se non aggiungessimo che si sono registrati anche straordinari esempi di impegno e generosità, fra i cittadini, i dipendenti comunali, i Vigili urbani e i volontari della Misericordia o del Corpo di Protezione civile “riorganizzato” alla bell’e meglio: uomini e donne che hanno lavorato quasi incessantemente, a volte anche senza le condizioni di sicurezza o addirittura, come il caso del sig. Antonio Zinco, sbeffeggiati e feriti, per aiutare il prossimo e contribuire a rendere meno drammatica la situazione, per prestare soccorso agli anziani e agli ammalati e per provvedere ai beni di prima necessità per quanti ne avevano bisogno.
Ma, quella appena trascorsa, è stata anche la settimana di… San Sabino. Grazie alla tregua concessa dal tempo, è stato possibile solo accendere, alla vigilia del 9 febbraio, un piccolo falò in Piazza, intorno al quale si sono radunate poche decine di persone, infreddolite. E la Processione prevista per il giorno successivo è stata annullata dal parroco don Enzo perché le strade non garantivano la sicurezza necessaria. Le celebrazioni religiose, seppure in tono minore, si sono ugualmente svolte, ma mai come in questo caso “o’ vecchiariello” ha sentito così tanto freddo…