Cattura atmosfere, scava memorie, racconta silenzi e misteri e, mentre sconvolge ed emoziona, si fa voce e destino dell’umanità faticosamente in cammino
Carmine Tranchese, è un artista, con tanto di diploma all’Istituto d’Arte a Torre Annunziata e poi all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove fu allievo dei maestri Armando De Stefano e Carmine Di Ruggiero. Ma gli studi accademici, che pure gli hanno consentito una straordinaria padronanza di tecniche pittoriche, si innestavano su una curiosità intellettuale ed una passione per il disegno ed il colore pressoché innata. Dal nonno, mast’e forgia a San Gennarello, aveva ereditato, per dire, una capacità creativa ed un gusto per le forme materiche che lo aveva orientato quasi naturalmente verso gli studi artistici alimentandone la prodigiosa versatilità.
Ma lo aveva affascinato soprattutto la pittura: prima quella figurativa, ‘commerciale’, nello studio di Ciro Del Sorbo, che raggiungeva a piedi dopo un paio d’ore di cammino, e poi quella più sperimentale e ‘trasgressiva’ (della detessitura e del colore oltre la tela) di Salvatore Emblema (1929-2006) a Terzigno. E l’incontro con Emblema, artista geniale e ‘irregolare’, schiudendogli le infinite potenzialità della creazione artistica, ne segnò la ‘formazione’, ne ‘definì’ il tratto, ne incoraggiò la ricerca cromatica ed espressiva. Alla sua ‘scuola’ e nelle sue roche affabulazioni, Tranchese coglieva le suggestioni di incontri affascinanti con intellettuali e collezionisti (da Carlo Levi, a Fellini, a Pollok, a Gianni Agnelli), ma familiarizzava anche con le pratiche quotidianità e le insidie di ‘mercati’ difficili. Negli anni ’80, mentre la stagione di Emblema si appannava, prima della ufficiale e definitiva consacrazione nella storia dell’arte, la sua esperienza artistica fu tutta un girovagare per l’Italia, per musei, mostre, incontri, in un furore creativo emozionante e disordinato, ma denso di umori e di esiti che si sarebbero di lì a poco ricomposti nella calda intimità, e perfino nella magia di un’ antica ‘bottega dell’arte’ nel centro storico di Atripalda. Carmine Tranchese, Madonnaro, ritrattista di strada, paesaggista girovago ritrovava miracolosamente intatta la sua ispirazione, mentre ridefiniva il suo percorso culturale. Gli ultimi quindici anni sono gli anni delle installazioni e del riconoscimento pubblico alla sua creatività, a prescindere dagli studi, dal lungo apprendistato, dalla appassionante storia personale di frequentazioni e relazioni culturali di pregio. L’installazione nell’alveo del fiume Sabato (in occasione dell’ultima edizione di Half Marathon), per esempio, fu una vera e propria provocazione ‘colta’ e un gesto d’amore: una lunga striscia di azzurro sulla sponda cementificata del fiume, insolitamente animato da manichini di cartapesta e fasciami di legno che incuriosisce e fa pensare al degrado presente; Pulvis es, nello Specus Martyrum del IV-V secolo, che attraverso il riuso di materiali poveri e scarti industriali, proprio nella straniante deflagrazione tra la percezione ed il ‘riconoscimento’ delle forme ed il ‘segno’ artistico, crea effetti e suggestioni di rara intensità; la via Crucis di Pietramara che evoca la mistica semplicità e la suggestione degli ex voto...
Perché prima di essere un intellettuale Tranchese è, prima di tutto, una persona autentica, semplice e raffinata, ricca di umanità e di genialità creativa, per quanto talvolta curiosamente bizzosa ed imprevedibile: insomma un vero artista. Le sue opere sono chissà dove (e talvolta ne parla con un po’ di nostalgia): sculture, terrecotte, oli, guachi, carboncini, donate con spontanea generosità o cedute in blocco ad un mercante d’arte di Bologna, in uno dei numerosi crocevia della sua esistenza. Oggi Carmine Tranchese è un genius loci sui generis, è l’anima di un centro storico che ha contributo a rendere un luogo meno anonimo e più umano, in cui la contemporaneità si riappropria di un vissuto millenario, esplora la propria coscienza, interroga la propria anima, si affaccia sull’archetipo dell’uomo che cerca il senso della sua fragilità e della sua eternità.
Carmine Tranchese cattura atmosfere, scava memorie, racconta silenzi e misteri e, mentre sconvolge ed emoziona, si fa voce e destino dell’umanità faticosamente in cammino.
Raffaele La Sala