Vincenzo Palumbo, classe 1909, ci racconta la sua secolare storia, piena di miseria, ma anche di tante soddisfazioni
Il suo sogno è quello di tornare a pedalare in sella alla sua bicicletta, più giovane di lui di soli 20 anni. Vincenzo Palumbo è nato ‘ncoppa ‘e monache il 13 novembre del 1909 ed è il nostro celebre centenario. Dopo di lui ci sono solo novantenni. Ma state tranquilli perché nonno Vincenzo vuole “campare” ancora e stabilire tutti i record. “Mi viene da ridere al ricordo di quando da giovane mi dicevano, “pe’cent’anni”, oggi che ci sono arrivato dico “pe’nate cento”. Così nonno Vincenzo, venerdì 13, ha avuto i riconoscimenti in Municipio con la consegna dell’estratto di nascita in pergamena: «Si tratta di un appuntamento di grande importanza per tutta la comunità atripaldese per salutare ufficialmente un suo concittadino, memoria storica e trait d'union tra passato e presente - spiega il sindaco Aldo Laurenzano - sono orgoglioso e onorato di aver potuto festeggiare ufficialmente Vincenzo Palumbo». È seguita poi una festicciola organizzata dai vicini di quartiere, il comandante dei vigili del fuoco di Benevento Serafino Vassalli, Antonio Guanci, Giuseppe Battista e tutti gli altri amici.
Vincenzo è nato in un momento difficile, quando la vita offriva davvero poco e c’erano tanta miseria e povertà. Ma, nonostante la fame, dice di essere felice e che alla vita bisogna sorridere sempre. “Ricordo quando ho perso un occhio lavorando il ferro: avevo poco meno di 20 anni. Ricordo ancora quando mi sposai con la mia Maria: era la sera di mercoledì e avevamo un solo uovo e niente per cucinare, nemmeno i fiammiferi. Però ci volevamo bene e questo era la cosa importante”. Maria Cocchia gli regalò otto figli dei quali, purtroppo, ne sopravvissero solo tre, Maria, Enzo e Gerardo. Dovette tirarli su con la fatica e il sudore. “Ho lavorato da quando avevo 8 anni, ho fatto mille mestieri e facevo i mercati. Mi alzavo all’una di notte per andare a piedi a Montella, Pietrastordina, Mirabella, Ariano, Bagnoli, Paternopoli, a vendere la seta per le farine. Alcune volte facevo a cambio con una misura di fagioli o un tozzo di pane, poi rientravo a piedi. Negli anni ’30 invece, comprai una bicicletta: la pagai 30 lire e fu la mia salvezza perché con quella mi spostavo e la caricavo di merce”. Gli anni della II guerra mondiale sono stati quelli più difficili, con la città occupata e la miseria che aumentava. Dal 1909, Vincenzo ha superato ogni genere di pandemia e malattie e ora dice di non aver paura della A H1N1: “Io all’ospedale ci sono andato solo una volta, quando fui investito da un’auto. Sto benissimo e cammino con le mie gambe. Mangio di tutto, sia a pranzo che a cena, vedo la tv ed ero tifoso dell’Avellino”. Una vita piena di sacrifici, dunque, eppure è felice ed ama Atripalda: “Sono atripaldese e me ne vanto, anche se da qualche anno mi vergogno un po’. La fine del mercato mi ha mortificato. La nuova piazza non mi piace, c’è sempre più sporcizia e troppe auto. Ma in qualità di uomo più anziano di Atripalda mi preme dire che manca un centro per gli anziani, mancano i bagni, non c’è niente. Quanto era bella Atripalda quando ci stavano ‘e teglie: altri tempi”. Vincenzo festeggia e si commuove, pensa a Maria che “non ci sta più” e poi rivolge un sorriso per ringraziare quanti gli hanno voluto regalare un giorno speciale.