Ancora oscure le ragioni che hanno spinto il 60enne dipendente comunale a togliersi la vita la notte scorsa. Giovedì mattina i funerali
Si svolgeranno giovedì, 10 febbraio, alle ore 10:00, nella Chiesa del Carmine, i funerali di Pasquale Guanci, il 60enne dipendente comunale che la notte scorsa si è tolto la vita impiccandosi al balcone della casa di famiglia in contrada Civita. Tutta la città, i familiari, gli amici e i colleghi ancora non si danno pace non riuscendo a trovare nessuna spiegazione plausibile ad un gesto così estremo e così lucidamente premeditato. Guanci non aveva debiti, non aveva problemi di salute né problemi familiari così gravi da poter, seppure teoricamente, giustificare il suo suicidio, a maggior ragione per un uomo con una grande fede cattolica. Probabilmente la spiegazione potrebbe rintracciarsi nella lettera che l’uomo ha lasciato alla moglie Pina Di Gisi ed ai figli Nunzia, Gianni e Carlo, ma dalle prime indiscrezioni che trapelano sembra che non vi sia alcun riferimento ai motivi che lo hanno indotto a togliersi la vita. Alcune istruzioni su come rintracciare i risparmi di una vita, l’appello a non accettare fiori come segno di cordoglio e l’invito a pregare tanto perché… ne aveva bisogno, questi i passaggi chiave contenuti nella sua ultima testimonianza scritta. I Carabinieri, naturalmente, hanno appena avviato le indagini per tentare di risalire ad un movente credibile e, con ogni probabilità, passeranno al setaccio anche il suo ufficio al Comune per verificare se, fra le pratiche che aveva seguito recentemente, possa esserci la spiegazione del gesto. Ma Guanci nel suo ultimo giorno di lavoro aveva pensato anche a questo, a lasciare tutto in ordine, tutto archiviato, nessuna carta fuori posto. Al Comune lo ricordano come un uomo ed un tecnico di cristallina moralità, non sempre gratificato quanto avrebbe meritato. Nell’ultimo piano di progressione economica orizzontale, infatti, il nome di Pasquale Guanci non figura fra i 46 dipendenti su 67 che sono stati promossi e gratificati anche economicamente, ma ciò non sembra sufficiente a spiegare perché un uomo stimato e conosciuto da tanti Atripaldesi, fortissimamente devoto alla Madonna e impegnato socialmente decida, una notte di febbraio, alla vigilia di San Sabino, di salire una scala, mettersi una corda intorno al collo e farla finita per sempre lasciando nel dolore la famiglia, gli amici, i colleghi e tutti coloro i quali lo hanno conosciuto a fondo.
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