Una donna di Atripalda è in prognosi riservati al “Moscati”. Aveva raccolto e cotto il “porcino” nei boschi di Santo Stefano
Era convinta di aver mangiato un “ovulo” e non un fungo velenoso: ora è in prognosi riservata presso l'Ospedale Moscati di Avellino, dove è giunta in condizioni disperate e accompagnata dai familiari preoccupati per la sua salute. C.S., 40 anni e residente ad Atripalda, aveva raccolto i funghi nei boschi di Santo Stefano del Sole dopo una lunga passeggiata in compagnia del marito. Aveva rimediato quattro porcini e un altro fungo, riconosciuto dalla donna come un “ovulo” (simile ad un uovo sodo bianco, con un cappello giallo quando si presenta ancora chiuso). Sfortunatamente, però, si trattava di un micidiale fungo velenoso, simile al prelibato ovulo, ma appartenente alla famiglia delle “amanita phalloides”, come riconosciuto dagli ispettori dell'Asl dopo il caso di avvelenamento. I funghi, infatti, erano stati cucinati insieme nella stessa padella e se C.S. ha mangiato quello velenoso, la figlia ha invece assaggiato un porcino, mentre il marito e l'altro figlio hanno rifiutato entrambi. Nell’immediato, la donna ha avvertito i primi dolori addominali a cui sono seguiti un forte mal di pancia, nausea e vomito. Le sue condizioni sono apparse molto preoccupanti tanto che i familiari hanno pensato di condurla subito al pronto soccorso. Compreso l’accaduto, è stata trasferita nel reparto di terapia intensiva per la dissintossicazione. Ha lottato contro la morte per due giorni prima di essere trasferita nel reparto di terapia intensiva (anche se i medici non hanno sciolto la diagnosi). Solo i risultati delle prossime analisi potranno confermare l'entità dei danni al fegato, ad altri organi vitali e il tipo di cura da seguire.
Parallelamente, anche la figlia, che aveva solo assaggiato una porzione di porcini, è stata sottoposta ad analisi. Tuttavia non ha avvertito alcun sintomo da intossicazione nonostante i funghi fossero stati cotti insieme.
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