Il sindaco ha segnato un altro punto, ma la partita non pare finita
Mai come in questa occasione le elezioni politiche hanno rischiato, e rischiano ancora, di travolgere l’Amministrazione comunale. Al sindaco Spagnuolo per ora è andata bene perché l’esito del voto centrista ha visto premiata quella componente a cui, insieme ad un gruppo di ex dirigenti del suo ex partito, ai quali dopo si è aggiunto anche il consigliere Pascarosa (e forse non è finita qua), ha deciso di rifarsi solo pochi giorni prima dell’apertura delle urne. E, viceversa, chi è rimasto dov’era deve accontentarsi delle briciole, aggrappato alla speranza che quantomeno il candidato di riferimento riesca ad arrivare in Parlamento attraverso l’entrata di servizio con la bandiera in mano. Dunque, siamo in attesa. In attesa di capire se davvero esistono ancora le condizioni affinché nell’Amministrazione possa finalmente regnare l’armonia e la condivisione, messi troppo spesso a dura prova da decisioni, episodi e dichiarazioni che sin dal primo giorno hanno continuamente alimentato un clima di guerra e pace. Da più parti arrivano rassicurazioni, la tenuta della maggioranza non è in discussione, ma si assiste ormai troppo spesso a ragionamenti e giudizi che vanno nel senso opposto. Aldilà delle opinioni personali che ognuno esprime rispetto alla opportunità che un sindaco, il manovratore della locomotiva amministrativa, possa permettersi di virare improvvisamente senza preoccuparsi di guardare che fine fa chi è dietro di lui, esplicitando il concetto che è sempre meglio che la politica resti fuori dalla porta del Palazzo, i nodi del dibattito sono soprattutto di ordine politico e personale. Politico perché la decisione di Spagnuolo di lasciare l’Udc, senza parteciparla a nessuno della maggioranza che lo sostiene, non tenendo più conto del fatto che deve la sua candidatura a sindaco e la sua elezione ad un patto politico e programmatico che altri hanno sancito per lui, in sostanza rompe quel patto senza aver prima verificato se c’è la disponibilità a rinnovarlo. E questo aspetto si coglie soprattutto nel Partito democratico dove la sorpresa e il disorientamento sono piuttosto palpabili perché il Pd ha sempre rivendicato la costruzione dell’alleanza con l’Udc intorno a quel patto che oggi non c’è più. E non è un caso che nel Pd si registri un malumore crescente, finora restato sottotraccia e manifestato sommessamente solo in sporadici incontri, ma che oggi potrebbe esplodere in maniera più forte sotto la spinta di chi ritiene che non sia possa più restare alla finestra. Viceversa, l’Udc e De Mita (e Capaldo), a cui tutti guardano per capire quale sarà la reazione allo strappo di Spagnuolo, appaiono troppo impegnati a leccarsi le ferite di una sconfitta elettorale che molti avevano già pronosticato e troppo demoralizzati per far immaginare una reazione immediata. Tuttavia, sono in tanti a ritenere che una batosta non sia sufficiente a polverizzare una grande storia e che, prima o poi, qualcosa dovrà accadere. Soprattutto se dovesse arrivare l’elezione alla Camera di Giuseppe De Mita, il quale sarà chiamato ancor di più a difendere e rappresentare chi gli è rimasto accanto fino alla fine. Tuttavia, se la politica ha sempre rappresentato l’arte del compromesso, ciò che negli ultimi giorni sembra definitivamente affondata è la fiducia sulla quale, per definizione, si regge una maggioranza consiliare. Una fiducia che in fondo non c’è mai stata veramente e che, con questi presupposti, forse non ci sarà mai.