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Ecco chi era Alfredo Lazzerini

Il profilo di un saldo e fedele servitore dello Stato tracciato da un concittadino cronista

Alfredo Lazzerini

Alfredo e io ci siamo incontrati e ri-conosciuti agli inizi degli anni ’70, a Roma, dove eravamo entrambi sbarcati anni prima, da giovani, per cercare di realizzare i nostri progetti. Il caso volle che Alfredo Lazzerini assumesse un incarico di grande e delicata responsabilità nell’Ufficio politico della Questura di Roma, quando al giornale in cui lavoravo (“l’Unità”, a quel tempo diretta da Aldo Tortorella) mi affidarono la responsabilità delle pagine di cronaca di Roma. Fu verificando con i miei collaboratori i nomi delle personalità con le quali – vuoi per ragioni di lavoro, vuoi per motivi di garbo istituzionale – era doveroso attivare un rapporto di conoscenza diretta, che incrociai quello di Alfredo. Da adolescente ad Atripalda, avevo frequentato soprattutto due dei suoi fratelli: Alessandro e Antonio, di lui sapevo genericamente che lavorava nella Polizia di Stato, ma non conoscevo il suo incarico  preciso. Lo chiamai e fu un immediato ritrovarsi, come se ci fossimo lasciati la sera prima e ci fossimo frequentati da sempre. Convenimmo di vederci in trattoria, più per una rimpatriata tra paesani che per un contatto formale tra il funzionario e il giornalista. Incautamente, però, affidammo la scelta della trattoria a un mio   giovane e  brillante cronista, che aveva cominciato a occuparsi dei gruppi estremisti di estrema destra e di estrema sinistra che operavano nella Capitale.  Il giovanotto pensò di stupirci ma colsi negli occhi di Alfredo un lampo di sgomento quando ci ritrovammo davanti a un ristorante cinese, in una zona di Roma che pullulava di tradizionali  trattorie romane e di altre che evocavano le attraenti cucine tipiche di altre regioni, Campania compresa. Alfredo non mostrò altri segni di sconcerto, affrontò eroicamente gli involtini primavera e altre cineserie, parlammo quasi esclusivamente di noi, delle nostre famiglie, degli amici di Atripalda, della nostra condizione di migranti un po’ particolari. Soltanto al momento dei saluti, guardando negli occhi il giovane cronista, pronunciò una frase che sembrò più un ordine che una promessa: “La prossima volta la trattoria la scelgo io”.

Negli anni seguenti ci siamo rivisti varie volte, ci sono stati anche incontri casuali, ma c’era un appuntamento fisso: il 13 giugno, per la festa di S. Antonio, ad Atripalda, alla cui processione Alfredo cercava di non mancare mai. Lo ricordo come una persona schiva, sobria, aliena da ogni eccesso, misurata, rispettosa, generosa e con la giusta misura di orgoglio: l’orgoglio di chi ha lasciato la sua terra ma è fiero delle sue origini, di chi ha fatto una scelta e compie il suo dovere con dedizione e lealtà. Ed infatti, si sdegnava per i comportamenti obliqui, sleali. Tant’è che soltanto una volta l’ho visto infuriato di brutto, quando – mi raccontò – qualcuno, di cui non fece ovviamente il nome. gli aveva taciuto informazioni preziose ai fini di indagini che egli stava svolgendo. Erano anni duri a Roma, per la violenza che ne percorreva le strade, per gli scontri ricorrenti tra i fanatici di destra e di sinistra, accomunati soltanto dall’odio per gli “sbirri”.  Alfredo svolgeva il suo lavoro senza paura e senza abusare del ruolo, anche quando questo ha significato esporsi alla violenza squadrista. E’ stato, insomma, uomo di saldi principi democratici, immune da ogni ideologia, ma fedele alle istituzioni e ai loro valori fondanti. Il che non era né facile né scontato in quegli anni, quando trame e veleni intossicavano molti apparati dello Stato. Anche se figure come quelle di Alfredo erano più numerose di quanto si pensi. D’altra parte, se non fosse stato così, come avrebbe retto il nostro paese agli attacchi portati in quegli anni con inaudita ferocia alle sue istituzioni democratiche? Credo che questo modo di intendere il suo ruolo di servitore dello Stato, sia costato ad Alfredo qualche amarezza di troppo e gli abbia reso il cammino professionale non sempre facile.  Possiamo, dobbiamo dunque annoverarlo tra gli atripaldesi che si sono fatti onore e hanno fatto onore ad Atripalda. Lo dico nella sommessa speranza che si trovi il modo degno di tramandarne il ricordo e l’esempio. Anche così si mostra amore – quello vero, non la tronfia retorica – per la propria terra d’origine; amore che si deve nutrire di atti, scelte e comportamenti concreti. Pochi giorni fa, proprio in occasione della festa di S. Antonio, ho chiesto di lui ad alcuni amici. Non ne avevano notizie recenti. Di sera, in piazza, ho incontrato il fratello Alessandro, gentile e affettuoso come sempre. Una sorta di pudore mi ha trattenuto dal chiedergli del fratello. Mai avrei potuto immaginare che proprio in quelle ore Alfredo ci stava invece lasciando.  Sono stato fortunato ad averlo come amico.

Antonio Zollo

Ex Direttore editoriale de “l’Unità”

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Commenti  

 
#1 Carlo TESTA 2013-08-23 14:31
Sono stato per anni alle sue dipendenze ,lo ricorderò sempre nel miocuore per la sua onestà ,lealtà ,ha combattuto sempre per una VERA giustizia .ciao (zio Alfredo) Carletto