La signora Troncone, atripaldese doc, figlia di Raffaele il fotografo, è la cittadina più anziana della città, ma non si direbbe... Accolta come una stella da parenti, amici e amministrazione, giovedì scorso, presso la sala consiliare del Comune
E’ entrata come una vera stella nella sala consiliare del Comune ed è stata investita da uno scrosciante applauso e dall’enorme affetto di amici (tantissimi) e familiari (ancora di più). Giovedì scorso è stato il giorno di nonna Gemma Troncone, atripaldese doc che ha compiuto 100 anni. Un secolo e non sentirlo, quando si è incamminata verso gli scanni più alti dell'emiciclo e si è accomodata al centro, tra il sindaco Paolo Spagnuolo e il consigliere Flavio Pascarosa. Davanti a lei almeno centocinquanta persone festanti, commosse e felici di festeggiare la dolcissima Gemma e di omaggiare la sua bontà e il suo fortissimo attaccamento ad Atripalda. A fare gli onori di casa il primo cittadino che, inorgoglito non ha nascosto avere avuto qualche dubbio sull’età anagrafica di nonna Gemma dopo averla vista per la prima volta: «Benché sia atripaldese anch’io – ha sottolineato divertito – non nascondo di non aver mai conosciuto la signora Gemma prima di questo evento straordinario e confesso che ho chiesto conferme all’ufficio anagrafe riguardo alla sua età perché è evidente che non dimostra assolutamente i cento anni che ha compiuto con fierezza». Accorato, invece, l’intervento del consigliere Pascarosa, legato affettivamente a nonna Gemma che conosce da tanti anni: «La signora Gemma è una donna straordinaria che ha vissuto la tragedia di due guerre e ha sempre saputo tirarsi su. Una persona meravigliosa e piena di vita dalla quale dovremmo tutti imparare». A chiudere gli interventi, quello dell’architetto Troncone, professionista conosciuto in città e nipote diretto della centenaria: «Dilungarsi troppo a parlare di Gemma sarebbe inutile, ciò che voglio sottolineare è che qui in sala, e non è qualcosa di usuale, ci sono ben quattro generazioni della famiglia Troncone tra lei, me, i miei figli la mia piccola nipote di sei mesi. Sono molto emozionato». Svestiti i panni istituzionali, poi, si è lasciato libero sfogo ai festeggiamenti accompagnati dal consumo di un lauto buffet offerto dalla famiglia della cara Gemma che si è commossa in più di una circostanza quando i convenuti sono andati ad abbracciarla e hanno chiesto di essere immortalati con lei. Una bella giornata e un bel momento per tutta Atripalda. La signora Gemma, emozionata e commossa ci ha tenuto a ringraziare il sindaco, tutta l’amministrazione, i parenti e gli amici per la festa che le hanno riservato e che, dice, non potrà dimenticare.
Viso dolcissimo, modi eleganti e gentili e una mente talmente lucida e pronta da riuscire ad aprire a comando uno qualunque degli innumerevoli cassetti della sua memoria. Non c’è forse, modo migliore per descrivere Gemma Troncone. Cento anni fatti di ricordi, passione e tante avventure da poterci scrivere una collana di meravigliosi libri o la sceneggiatura di un film a puntate in grado di raccontare lo splendido spaccato di un’Atripalda dilaniata dalle guerre totali ma forte di una coesione sociale diventata ormai soltanto un bel ricordo. Nonna Gemma è l’emblema di Atripalda, lei nelle cui vene scorre l’acqua del fiume Sabato e che, nata nella centralissima via Roma, a due passi dalla chiesa di San Nicola, non l’ha mai abbandonata, rimanendo fedele alla sua città e alle sue radici. Figlia del famoso fotografo Raffaele, artefice dell’arrivo ad Atripalda del cinema, aiutava il padre a sviluppare il suo lavoro e lo seguì passo passo nella realizzazione della sala cinematografica allestita nella Dogana dei Grani, prima della costruzione del cinema “Ideal”. «Erano tempi diversi – ci racconta nonna Gemma – e io li ho vissuti sempre accanto alla mia famiglia, accudendola per quanto mi era possibile». Del resto Gemma fu l’ultima delle figlie femmine della famiglia Troncone a lasciare il tetto paterno e, quindi, fu quella che aiutò maggiormente la madre a portare avanti la casa. Un “dovere” che nonna Gemma, nel suo racconto, dimostra di aver sempre assolto senza indugiare. «Io sono la sedicesima di ventitré figli – ci stupisce – anche se ne sono sopravvissuti soltanto nove e probabilmente sono stata una delle prime ad Atripalda, se non la prima, a chiamarsi Gemma». Impossibile, per noi, non chiedere lumi: «Mio padre ragionava tantissimo sui nomi da dare ai propri figli e, quando nacqui io, si trovò in difficoltà perché non sapeva come chiamarmi. Fu un amico di famiglia, un monsignore che aveva avuto l’onore di frequentare Santa Gemma Galgani, a suggerirgli il nome. “Chiamala come la mia Gemma”, disse, e papà ne fu entusiasta». Una vita trascorsa ad Atripalda, di cui nonna Gemma va molto fiera e che le hanno permesso di vivere tristi esperienze sotto l’invasione tedesca e altre, ben più allegre in compagnia delle forze liberatrici a stelle e strisce: «Una mattina, durante il periodo dei bombardamenti, - ci racconta - mi svegliai insieme agli altri nella galleria (si tratta della galleria di via Serino, ndr) e, giunta a casa, non riuscì a trovare mio padre. Così decisi di andare alla Dogana, convinta di trovarlo lì. Davanti all’ingresso della struttura, però, mi si pararono avanti due guardie tedesche che, ovviamente, non capivano la mia lingua né il perché volessi a tutti i costi entrare. Dopo qualche attimo decisero di farmi passare puntandomi, però, entrambi i fucili alla schiena. Terrorizzata, trovai mio padre che, in segreto, mi consegnò un obiettivo fotografico di gran valore affinché lo nascondessi nella nostra auto. Io tornai a casa e così feci anche se poi, per ironia della sorte, i tedeschi ci requisirono la macchina, prendendosi così anche l’obiettivo». Racconti affascinanti quelli di nonna Gemma e capaci di strappare un sorriso, come quello che vede protagonisti i militari americani stanziatisi a pochi passi dalla sua abitazione e gli 80 babà che ella preparò su richiesta del padre: «Quando mi affacciai al balcone di casa per prendere un po’ d’aria, rimasi senza fiato: tutto i militari mi aspettavano con un bicchiere di spumante in mano per brindare in mio onore e ringraziarmi dei dolci. Erano tutti lì, sui balconi dei primi due piani e mi guardavano sorridenti. Mi imbarazzai moltissimo ma fu un gesto che mi fece davvero tanto piacere». Inutile nasconderlo: chiacchierare con nonna Gemma è stata un’esperienza bellissima, vedere i suoi occhi brillare mentre ricordava il passato da bigliettaia del cinema allestito in Dogana, del suo lavoro certosino per ritagliare ogni singolo tagliando dagli enormi fogli che le consegnavano in tipografia fino a quando decise di riutilizzare il giorno dopo quelli già venduti per evitare di tagliarne altri. Del suo incontro con Benito Mussolini e di come rischiò di essere investita dalla sua auto nel tentativo di salutarlo il più vicino possibile. Per non parlare di quando si recò a Napoli con la madre, alla ricerca degli emissari della Metro Goldwyn Mayer, dai quali farsi consegnare le pellicole da trasmettere nel cinema. Nonna Gemma è un pezzo enorme e preziosissimo di Atripalda che, giovedì, il grande giorno del suo centenario, è stato giustamente celebrato presso la sala consiliare del Comune di Atripalda dove è stato allestito un rinfresco e si è brindato alla presenza delle autorità cittadine e di tutti i parenti e amici che si sono stretti attorno a questa donna straordinaria e meravigliosa da cui tutti dovremmo imparare.