Il 24 marzo del 1944, alle porte di Roma, trecentotrentacinque tra civili e militari italiani furono vittime della rappresaglia nazista. Il 38enne ufficiale dei Carabinieri cadde sotto la mitraglia. Una lapide in memoria è fissata sulla facciata della casa paterna di via Cammarota
II 23 marzo 1944 trentadue soldati tedeschi perdono la vita in Via Rasella a causa di un attentato partigiano. La rappresaglia scatta inesorabile il giorno successivo. Dopo mezza giornata di ricerche frenetiche, le SS, sotto il coordinamento del Ten. Col. Herbert Kappler, radunano trecentoventi detenuti, tra ebrei e prigionieri politici, ed individuano il luogo adatto all’esecuzione: le Fosse Ardeatine, antiche cave nei pressi della via Ardeatina, poco fuori Roma. Poco dopo l’ora di pranzo tuttavia, muore un altro dei feriti nell’attacco del giorno precedente. E’ la trentatreesima vittima, perciò si richiedono altri 10 detenuti da giustiziare. E’ lo stesso Kappler ad individuarli, tra gli ebrei arrestati in mattinata. Nel primo pomeriggio i condannati vengono caricati sui camion, senza che venga data loro alcuna spiegazione; il loro numero totale è di trecentotrentacinque, tra civili e militari italiani, fucilati a Roma il 24 marzo 1944. Arrivati alle Fosse, vengono condotti, cinque per volta, nel profondo delle grotte, posti in ginocchio e fucilati alla nuca. La terribile processione di morte si chiude soltanto alle 7 di sera, quando anche l’ultimo nome viene cancellato dalla lista. Subito dopo le mine vengono fatte esplodere e la cava crolla sui cadaveri, allo scopo di nascondere l’orrore della strage.
Per la sua efferatezza, l’alto numero di vittime e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, esso divenne l’evento-simbolo della durezza dell’occupazione tedesca di Roma. Le “Fosse Ardeatine”, antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, scelte quali luogo dell’esecuzione e per occultare i cadaveri degli uccisi, nel dopoguerra sono state trasformate in un sacrario-monumento nazionale. Sono oggi visitabili e luogo di cerimonie pubbliche in memoria.
Il nostro pensiero grato e la nostra affettuosa preghiera va al nostro eroe Raffaele Aversa ed al suo sacrifìcio per la Patria. Il martirio della sua giovane vita sia di fulgido esempio alle nuove generazioni e stimolo per tutti ad operare per il bene supremo della democrazia.
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Raffaele Aversa (Lello per gli amici) era nato il 2 settembre 1906 in provincia di Roma, a Labico, dove il padre Alfonso, atripaldese, comandava la locale stazione dei Carabinieri. Completò gli studi presso il Liceo Ginnasio “Pietro Colletta” di Avellino dove fu alunno dello storico Vincenzo Cannaviello, ricordato con accorato sentimento in un suo libro. Ancora adolescente si arruolò anch’egli nei Carabinieri e fu allievo a Roma, sottufficiale a Firenze ed infine ufficiale all’Accademia di Modena. Partecipò volontario alle campagne d’Africa e di Russia, meritando due croci di Guerra. “Lello” Aversa, un carabiniere alto, robusto, dal viso franco e simpatico, imponente ed orgoglioso nella sua sgargiante divisa, il Capitano Aversa, agì nella capitale in momenti particolarmente difficili, per la presenza delle truppe di occupazione tedesche e per lo sbandamento dell’esercito italiano. Egli fu protagonista dell’arresto del Duce a Villa Savoia, per ordine del Re, dopo la tempestosa ultima seduta del Gran Consiglio dei Fascismo del 25 luglio 1943. Per questo episodio, che andava interpretato come una normale operazione di polizia, Raffaele Aversa fu segnalato nel libro nero della reazione fascista e del Comando germanico a cui era stato segnalato dai gerarchi della fantomatica Repubblica di Salò. Nonostante l’incombente pericolo, non volle abbandonare il servizio attivo perché, ligio al motto dell’Arma “NEI SECOLI FEDELE” e malgrado vestisse panni borghesi (sollecitato alla prudenza dai colleghi) per nascondere la sua identità si presentava sotto il nome di Dr. Albano, procuratore del re di Avellino. Fu arrestato dalle SS mentre si recava dal suo diretto superiore “tenente col. Frignani” affinché concedesse l’autorizzazione a quanto egli aveva predisposto per l’insurrezione armata dei Carabinieri a poche ore dallo sbarco degli Anglo Americani ad Anzio. Tradotto senza scampo a Via Tasso, nell’ottobre del 1943, subì due mesi di inenarrabili torture e forse si sarebbe salvato, se non fosse avvenuto, nel frattempo, l’attentato di Via Rasella che spinse i tedeschi all’inumano quanto inutile eccidio delle Fosse Ardeatine. Di fronte al plotone di esecuzione, mantenne un atteggiamento fiero e sereno, offrendo la vita per il bene supremo della Patria. Era il 24 marzo del 1944. Alla memoria del martire fu decretata la massima onorificenza militare, vale a dire la medaglia d’oro, con la seguente motivazione: «Ufficiale dei Carabinieri, Comandante di una compagnia della Capitale, opponeva dopo l’armistizio, all’azione aperta ed alle mene subdole dell’oppressore tedesco e del fascismo risorgente, il sistematico ostruzionismo proprio e dei dipendenti. Sfidava ancora i nazifascisti sottraendo i suoi uomini ad ignominiosa cattura. Riannodatene le file e raccolti numerosi sbandati dell’Arma, ne indirizzava le energie alla lotta clandestina, cooperando con ardore, sprezzante di ogni rischio, a forgiarne sempre più vasta e possente compagine. Arrestato dalla polizia tedesca come organizzatore di bande armate, sopportava per due mesi, nelle prigioni di via Tasso, sevizie e torture che non valsero a strappargli alcuna rivelazione. Fiaccato nel corpo, indomito nello spirito sempre drizzato fieramente contro i nemici della Patria cadeva sotto la mitraglia del plotone di esecuzione alle Fosse Ardeatine. Fronte militare della Resistenza - Fosse Ardeatine, 8 settembre 1943 - 24 marzo 1944», Fosse Ardeatine, 24 marzo 1944.
II Comune di Atripalda, per ricordare questo eroe, fece apporre sulla facciata della casa dei genitori in Via Cammarota una lapide marmorea che, rimossa all’indomani del sisma del 23 novembre 1980, nella confusione di quei giorni andò smarrita. Dopo varie vicissitudini, il 18 giugno del 1995 l’Amministrazione comunale di Atripalda riposizionò, con una solenne cerimonia, la lapide marmorea in memoria del Capitano Raffaele Aversa.
Concetta Tomasetti
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