Si va concludendo, nell’indifferenza di molti, il 50° anniversario della morte di uno dei maggiori filosofi del XX secolo: una occasione mancata per riflettere sulla inarrestabile deriva della politica. Domani, martedì 16 dicembre, su sollecitazione del prof. La Sala, il liceo che porta il suo nome lo ricorderà
La famiglia de Caprariis, originaria di Zungoli, si era trapiantata ad Atripalda, con Alfonso, un valente medico condotto che seppe guadagnarsi la venerazione della città. Il figlio Filippo (1879-1959), aveva studiato diritto all'Università di Napoli e si era poi dedicato alla professione forense. Collaboratore e seguace politico dell'on. Carlo Vittorio Cicarelli, dal 1903 al 1910 era stato eletto consigliere comunale ed assessore, svolgendo in più occasioni anche le funzioni di sindaco. Nel 1911, dopo le nozze celebrate in casa della sposa nel 1911 (Annina de Sapia, gentildonna, figlia del medico Saverio, nata nel 1886, alla strada Piazza), Filippo e Annina si erano trasferiti a Napoli, nella severa dimora di via dei Ventraglieri dove, il 3 settembre 1924, era nato Vittorio, il più giovane di quattro fratelli: Alfonso (1914-1938) che morì di tifo a ventiquattro anni, mentre si avviava ad una brillante carriera in magistratura, Antonio (1916, ingegnere), Carlo (1922, magistrato).
Ma se Filippo de Caprariis, come gran parte della ricca borghesia meridionale, aveva scelto di trasferire a Napoli la famiglia e gli interessi professionali, conservava tuttavia profondi legami, non solo affettivi, con Atripalda e l'Irpinia; che Vittorio conservò intatti, benché nella città partenopea egli formasse la sua personalità intellettuale, alla scuola di Omodeo, Chabod e Dorso, segnalandosi, più tardi, come uno dei più giovani ed intelligenti interpreti del pensiero crociano. E proprio Benedetto Croce, ricordato con composta commozione nel 1962, gli aveva rivelato “[...] nell'atmosfera attristata e torbida del 1941”, i percorsi insidiosi ed affascinanti della storia europea e le trame del confronto politico.
Scomparso prematuramente Adolfo Omodeo nel 1946 e pochi mesi più tardi anche Guido Dorso, il giovane Vittorio de Caprariis trovò nell'Istituto italiano per gli studi storici, (che Croce aveva voluto inaugurare nel febbraio 1947 in un'ala di palazzo Filomarino, affidandone la direzione a Federico Chabod) un ambiente ricco di fermenti intellettuali ed un'atmosfera estranea al conformismo ed al provincialismo culturale degli anni del fascismo.
Successivamente l'ideazione con Francesco Chinchino Compagna della rivista «Nord e Sud» e la partecipazione assidua alla avventura giornalistica e politica de «Il Mondo» di Pannunzio (sul quale pubblicò regolarmente dal giugno del 1960 la rubrica Ceneri e faville con lo pseudonimo Turcaret), furono le tappe di una vita intensa e feconda, vissuta quasi con l'ansiosa preveggenza della morte.
Giovanissimo docente di Filosofia del Diritto, incaricato nell'Università di Napoli e poi ordinario in quella di Messina, Vittorio de Caprariis legò la sua attività di ricerca e di studio a temi di ampio respiro civile e politico (si vedano i volumi Francesco Guicciardini. Dalla politica alla storia, Bari 1950; Propaganda e pensiero politico in Francia durante le guerre di religione, Napoli 1959; Profilo di Tocqueville, Napoli 1962) che hanno lasciato (insieme al saggio Storia della Repubblica dal 1946 al 1953, pubblicato postumo ed ai numerosissimi interventi giornalistici, poi raccolti in volume) una traccia profonda nella storia della cultura e delle idee.
Questa in estrema sintesi la biografia intellettuale di Vittorio de Caprariis, accettando il rischio di lasciare irrimediabilmente in ombra la sua personalità: il fascino della conversazione, la vividezza dell'intelligenza, gli imprevedibili scarti di umore, ma anche i pudori e le malinconie, gelosamente celate sotto il carattere ruvido.
A Guerico Russo, Mario Galdieri, Nicola Magliaro, Antonio Iannaccone, Luigi Barbarito, confidenti e sodali negli anni della guerra trascorsi ad Atripalda, lo legava, per esempio, una robusta trama di complicità e di affetto che si conservò immutata sino alla prematura fine. Essa si alimentava nella consuetudine delle lunghe quotidiane passeggiate serali, delle interminabili partite a poker, delle conversazioni di letteratura, di filosofia e di politica, sprofondati nelle poltrone di vimini del bar Italia (Vittorio, tra i suoi coetanei, riconosciuto ed indiscusso - seppure un po' stravagante - 'maestro'). Ma se Guerico Russo (Torre le Nocelle 1924- Atripalda 2012), il più vicino a Vittorio de Caprariis, fu di fatto estraneo al confronto politico, nel gruppo di amici si confrontavano diversi orientamenti che cominciavano a definire la sostanza del dibattito tra il '44 ed il '46: mentre, per esempio, Galdieri e Iannaccone (Atripalda 1925) sembravano più vicini al P.d'A., Nicola Magliaro (Atripalda 1924-Avellino 2013) nel '44 fu tra i fondatori della sez. democristiana di Atripalda. Del sodalizio erano parte non trascurabile, per intelligenza e passione civile, (oltre al sacerdote Luigi Barbarito, anche Pasquale Costanza, Sabino Narciso (socialisti), Sabino Novaco, Antonio Postiglione ed il più giovane Enrico Venezia.
Erano gli anni della lenta ripresa della vita democratica in terra irpina e Vittorio de Caprariis li viveva immerso in studi severi, riservato e inaccessibile, nel suo angusto studiolo (come lo ha felicemente ricordato un suo giovanissimo allievo di allora, Antonio Tirone), non estraneo tuttavia ai mutamenti e alle speranze della rinata democrazia.
Proprio ad Atripalda, dove tornava spesso e dove visse tra il '43 e il '45, il Vittorio de Caprariis maturò una concreta, per quanto effimera, esperienza politica, come promotore e segretario della sezione cittadina del partito d'Azione, costituitasi l'8 ottobre 1944 ed allocata in un terraneo dell'austero palazzo di famiglia. Il 15 febbraio 1945 scriveva da Atripalda alla direzione de «L'Azione» di Napoli, diretta allora da Antonio Arminio (vice direttore era Guido Macera), comunicando l'avvenuta costituzione della sezione del P.d'A. e di essere stato designato corrispondente del giornale: ”Mi pregio comunicarvi che in data 8-10-44 si è costituita in Atripalda (prov. di Avellino) la sezione del nostro partito. Sono stato designato quale vostro corrispondente. Il Segretario Vittorio de Caprariis”.
Il dibattito si sviluppava intorno alla insufficienza dei partiti storici, al trasformismo, ai meccanismi di formazione e di selezione della élite; ed era ancora la lucida analisi storico-politica di Dorso ad accendere e ad alimentare (prima attraverso «Irpinia Libera» e poi attraverso il faticoso impegno quotidiano de «L'Azione» di Napoli) entusiasmi e speranze.
Non fu casuale perciò che proprio alla seconda serie di «Irpinia Libera» il giovane de Caprariis affidasse le sue prime riflessioni politiche, pubblicandovi due articoli tra il maggio e il giugno del 1945: un intervento sull'attualità del partito d'Azione ed un commosso ricordo di Carlo Rosselli, nell'ottavo anniversario della morte, articoli che vale la pena di rileggere -se non già per l'originalità delle tesi- come documento di una robusta ed ardente coscienza civile e di una già elegante e misurata costruzione del pensiero.
«Irpinia libera», il primo foglio stampato in Irpinia dopo la caduta del fascismo nell'ottobre del 1943 (ad appena un mese dal sanguinoso bombardamento su Avellino delle truppe angloamericane), aveva ripreso le pubblicazioni nel febbraio del '45 sotto la direzione di Alfredo Maccanico (Avellino 1898-1972), come organo ufficiale del Partito d'Azione. Una prima serie de «L'Irpinia Libera», diretta dall'avv. di Atripalda Bartolomeo Giglio, e pubblicata come Organo del Comitato Irpino del Fronte Naz. di Liberazione, fu sospesa dopo alcuni numeri dalle autorità militari alleate. Dorso vi aveva pubblicato (n. 3, 13 novembre 1943) il più volte citato articolo Ruit Hora!. Dalle sue colonne Alfredo Maccanico, Nicola Vella, Manlio Rossi Doria, Vittorio de Caprariis (mentre Dorso logorava le sue energie nella direzione de «L'Azione») alimentavano un serrato confronto politico con «Il Lavoratore irpino», organo del Partito Comunista, di cui fu animatore instancabile il giovane pubblicista Silvestro Amore, «Il Domani», organo della Democrazia Cristiana, di Fiorentino Sullo e del giovane e battagliero sacerdote di Atripalda Luigi Barbarito, assistente diocesano dell'ACLI.
Appena un anno prima di morire Vittorio de Caprariis aveva ripubblicato su «Il Mondo» (per una curiosa, e inconsapevolmente premonitrice, coincidenza) in un articolo intitolato Il giardino incompiuto. Rileggendo in parallelo il saggio di Montaigne e il “soliloquio” dettato da Croce poco prima della morte, il de Caprariis non si lasciava sfuggire l'occasione per una riflessione serena a proposito del suo giardino incompiuto: “Non v'è nella vita degli uomini una sola ora della verità, l'ultima: ve ne sono tante quanti i giorni della vita”. E concludeva: “Conviene prendere atto di ciò che avvertiva lo stesso Montaigne: mes adieux sont à demi pris de chacun, sauf de moi .Con l'avvertenza che questi addii sono quotidiani e sono insieme i più difficili di tutti: perché si possono raccogliere anche nel motto di Camus, che gli uomini muoiono e non sono felici.”
Vittorio de Caprariis si spense a Roma il 7 giugno 1964, stroncato a quarant'anni non ancora compiuti. Le sue spoglie mortali, accompagnate dalla giovane signora Alda Gabrieli e da pochi amici (tra i quali Francesco Compagna e Ugo La Malfa che pronunziò l'elogio funebre), riposano ad Atripalda nella tomba di famiglia.
La "conversazione" svolta dal prof. La Sala nel liceo "de Caprariis" di Atripalda (riprese realizzate da Pino Battista)