Martedì, 16 Lug 24

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Il Vangelo della Domenica

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 1,40-45)

Venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!».

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Commento di Concetta Tomasetti

Nel vangelo di oggi, l'evangelista Marco ci parla di una persona malata e sola: un lebbroso. Per noi, adulti e bambini del 2015, è difficile comprendere cosa volesse dire essere lebbrosi ai tempi di Gesù. La lebbra era considerata, oltre che una malattia fisica, anche una malattia spirituale. Era credenza che chi la contraeva avesse combinato qualcosa di grave, per cui Dio puniva il peccatore in questo modo. Solo se si pentiva, se non peccava più e faceva una penitenza adeguata si pensava che potesse guarire. Finché il lebbroso era malato, sempre secondo la mentalità di allora, voleva dire che Dio lo stava castigando e, fino a quando nel suo corpo c'erano i segni della malattia, doveva sentirsi indegno di avvicinarsi a Lui. La persona malata doveva rispettare delle regole prescritte dalla legge di Mosè: era considerato come un morto vivente, veniva escluso dalla vita della comunità, doveva vivere fuori dal paese, lontano da tutti, e non poteva nemmeno entrare nel Tempio per rendere culto a Dio. Chi riusciva a sconfiggere questa malattia doveva andare dai sacerdoti che ne attestavano pubblicamente la guarigione e così poteva ritornare alla sua vita normale. Oltre ad essere malato, come abbiamo detto prima, era anche una persona completamente isolata e "Gesù ne ebbe compassione". "Compatire" non significa quello che noi comunemente crediamo, e cioè provare pena per qualcuno e dire: "poverino, guarda quello lì che sfortunato che è" e poi magari dimenticarsi subito di lui ed andare via! "Compatire" significa "patire-con". E' tutta un'altra cosa. Gesù supera tutte le regole antiche e vive il comandamento nuovo: "Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi". Ci insegna, con l'esempio, come si fa ad amare. E' proprio a voi il che Signore chiede di andare loro incontro, di avere compassione, di "toccarli", di guarirli, perché è attraverso di voi che il Signore agisce!

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