Giovedì, 26 Dic 24

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Il Vangelo della Domenica

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6,1-6)

Giunto il sabato, si mise ad insegnare nella sinagoga. «Da dove gli vengono queste cose?».

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Commento di Concetta Tomasetti

Gesù va a Nazareth, la sua città, tra la gente che lo aveva visto nascere, crescere, lavorare, andare. Lì dove c’era sua madre, la sua casa, gli amici di infanzia, i compagni di giovinezza, i parenti più vicini. Vi torna non solo, ma con i suoi discepoli. Vi torna quindi come maestro. Lo avevano visto camminare per le vie del paese, il sabato lo vedono entrare in sinagoga e predicare. Parole nuove, che riscuotono interesse e muovono l’attenzione, che risvegliano i desideri e nutrono le attese. Quest’uomo è uno di noi. Lo conosciamo bene. Non può parlare così. È il figlio di Maria, una delle nostre donne, una delle tante. Conosciamo tutti quelli che con lui sono cresciuti. Non è possibile che lui sia qualcosa di diverso da quello che noi abbiamo concretamente avvicinato per anni. Non può essere capace di fare miracoli così grandi, è un falegname. Gli abitanti di Nazareth vedono Gesù come un loro “possesso”: non può essere altro da quello che loro hanno conosciuto di lui. Sono in pochi quelli che ricevono il dono della presenza di Cristo, i malati, coloro che vivono l’attesa e non vivono di sicurezze perché il loro domani è comunque incerto. La precarietà apre all’ascolto. Beati i poveri... Oggi, siamo orfani di questo tipo di profezia. Siamo orfani di profeti dallo stile e dal cuore simile a quello di Gesù, che sappiano dire le cose come stanno, che siano in grado di resistere agli attacchi dei potenti, che sappiano rimanere lì, in mezzo alla gente, a volte anche nel silenzio e nella marginalità, se non nella persecuzione, a proclamare la presenza del Regno di Dio. Desidero offrire alla vostra riflessione, un passaggio di un'omelia di Oscar Romero, recentemente beatificato, ucciso 35 anni fa mentre celebrava la messa a San Salvador, che ritengo uno degli ultimi grandi profeti di questo tempo: "Essere come Cristo, liberi dal peccato, è essere veramente liberi, con la vera liberazione. E colui che con questa fede, posta nel risorto, lavora per un mondo più giusto, protesta contro le ingiustizie del sistema attuale, contro tutti i soprusi di un'autorità abusiva, contro i disordini degli uomini che sfruttano gli uomini; chiunque lotta a partire dalla resurrezione del grande liberatore, solo costui è un autentico cristiano".

Buona settimana. Amici!

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