Emozioni senza tempo: Giovanni Solimene racconta, a distanza di 27 anni, come riuscì ad entrare al “Flaminio” di Roma e ad assistere a quello che fu ritenuto uno dei migliori show musicali di tutti i tempi, incontrando anche…
La mattina dell'11 luglio 1988 faceva caldo. Ascoltavo la radio mentre ero piegato sul mio Neolt, un tavolo da disegno sul quale facevo accatastamenti di fabbricati rurali. Annunciando il brano successivo, la deejay fece l’ennesimo riferimento al concerto che i Pink Floyd avrebbero fatto quella sera allo Stadio Flaminio di Roma e disse: “Chi non ha mai fatto l’amore con Wish you were here?”.
Mi resi subito conto che la mia giovane vita aveva tanti vuoti. Ero stato troppo impegnato con lo sport e al resto dedicavo pochissimo tempo. Finito il pezzone alla radio, capii che avrei dovuto posare il grafos e raggiungere al più presto Roma. Mi vuotai le tasche e come al solito non c’era molto, nemmeno i soldi per il viaggio. I biglietti per il concerto erano sold out da mesi, tutti acquistati in prevendita presso la BNL. Mi feci coraggio e decisi di partire lo stesso. L’unica possibilità era l’autostop, di cui ero un maestro. In quel periodo studiavo i comportamenti degli automobilisti, li analizzavo per individuare il momento ed il luogo in cui chiedere il passaggio. Non ebbi problemi ad arrivare al Flaminio di Roma entro le 13. Appena mi avvicinai allo stadio, ebbi la chiara sensazione di essere sbarcato su un pianeta per me sconosciuto. Nello stadio stavano facendo il soundcheck e al primo attacco del basso, la forza del suono mi fece vibrare i vestiti addosso. Il clima di condivisione era straordinario, tutto era diverso. Le persone, i vestiti, l’aria.
Dopo un primo sbandamento, realizzai che sarebbe stato impossibile entrare allo stadio. C’era qualche bagarino, disponibile ad acquistare i biglietti a cifre impossibili, per rivenderli ad un prezzo addirittura superiore. Il costo in prevendita per il prato era di 30mila lire. Una bella cifra per gli anni ’80. Avevo poco più di 20mila lire e decisi di fare una colletta. Era una simpatica abitudine Avellinese, “tenissi cientolire?”. Ero specializzato anche in collette. Cominciai a chiedere soldi e trovai un rapido e simpatico riscontro. Tutti contribuivano al mio sogno. Tolsi anche la maglietta, faceva tanto caldo. Ogni volta che chiedevo il costo del biglietto, la risposta dei bagarini era sempre superiore alla precedente, vista la grande richiesta e la ridotta disponibilità. Ad un certo punto, verso le 18, avevo raggranellato oltre 100mila lire. Le tasche erano gonfie di monete pesanti e sulla mia faccia si stampavano larghi sorrisi. Provai a chiudere una trattativa con un bagarino napoletano, ma non ebbe pietà. I bagarini ed i napoletani non mi erano molto simpatici e l’esito di quella trattativa non fece che rafforzare i miei convincimenti. Avevo 120mila lire, lui ne voleva 150. Ci rimasi male, ma andai via orgoglioso. Nel corso del pomeriggio, nel mio errare tra i gruppi di persone, avevo stretto simpatiche relazioni con tante persone. Mi davano da bere, da mangiare e da fumare. Ero elettrizzato dall’ambiente e pieno di entusiasmo. Decisi di fare un giro intorno allo stadio per capire se si poteva scavalcare. Ero un maestro anche in quello. Scavalcavo ovunque. Cominciai da piccolissimo a scavalcare i cancelli, col mio amico delle scuole medie Pippiniello Venezia andavamo a vedere le partite dell’Avellino nel 1979, con la Polizia che ci correva dietro. Non ci hanno mai presi!
Ma al Flaminio era difficile, molto difficile.
Quando arrivai nella zona del palco, provai a sbirciare dai cancelli. Un megapalco, tante persone di staff. Capii che quella era la mia unica possibilità. Stranamente dietro al palco c’era poca Polizia e decisi che sarebbe stato quello il posto in cui avrei fatto il tentativo. Mi arrampicai come un gatto e con uno scavalcamento ventrale mi ritrovai nello stadio. La gioia durò pochissimo perché venni subito braccato dal un muscoloso addetto alla sicurezza. Avevo l’ultima carta da giocare e fui prontissimo. Provai a spiegare che avrei voluto comprare un biglietto ma non avevo abbastanza soldi. Misi la mano in tasca, col preciso intento di non prendere tutti i soldi, ne tirai fuori la metà e dissi: “Prendili tu e lasciami andare”. Si girò e mi lasciò libero. Ero però ancora nel backstage e dovevo entrare nel prato, ma il grosso era fatto. Appena varcai il cancello convincendo la security, entrai nel prato e cominciò a battere forte il cuore. Ce l’avevo fatta, ero entrato. Dopo due minuti incontrai i primi Atripaldesi, Gianni Maruotto e Maurizio Limone. Ci abbracciammo e cominciò il più bel concerto del mondo.
Commenti
Un abbraccio grande .