Martedì, 16 Lug 24

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Sabino Tomasetti, la città lo ha ricordato con affetto - «Mio padre, uomo umile e brillante»

L'intervento di Concetta Tomasetti

In premessa mi sia consentito un ringraziamento agli organizzatori del convegno sulla figura di mio padre Sabino, in particolare l’associazione Cives e la Confraternita di Santa Monica, nella persona dell’architetto Gianni Iannaccone, e le autorità gentilmente convenute, in particolare al sindaco di Atripalda, il dottor Aldo Laurenzano che aveva mio padre tra i suoi pazienti.
Il 19 gennaio del 2000, giorno della nascita al Cielo di mio padre, il dottor Laurenzano venne subito a casa e rimase a lungo in preghiera accanto a lui, incredulo e addolorato per aver perso un vero amico.
Ringrazio cordialmente tutti per l’affetto e il ricordo verso un umile figlio di questa amata terra.
Sabino Tomasetti, figlio unico di Pasquale e di Concetta Romano, nacque il 10 febbraio del 1939, in un vecchio palazzo baronale del centro storico, in piazza Garibaldi al n.9, sopra la famosa cappella della Madonna delle Grazie e di fronte alla Farmacia De Lurentis. Purtroppo questo palazzo, già allora abbastanza fatiscente, crollò qualche tempo dopo il devastante terremoto dell’ ’80 e la famosa effige della venerata Vergine, affidata ad una nota famiglia del luogo, fu ricollocata nel nuovo stabile, su interessamento di mio padre, a pochi mesi dalla sua morte.
Il papà era un modesto e laborioso operaio che per alcuni anni emigrò in America in cerca di fortuna. La mamma gestiva una piccola rivendita di frutta a pochi passi dalla chiesa si S. Ippolisto. I guadagni, però, alquanto scarsi, la costrinsero a chiudere dal momento che il valore della frutta non era ben compreso e molte famiglie, a causa della povertà, non le pagavano il dovuto.
I due genitori si accorsero ben presto che il loro piccolo Sabino aveva un intuito perspicace ed una memoria straordinaria. Fin da piccolo, infatti, mostrò un’intelligenza precoce spinto dalla curiosità e dalla ricerca del sapere. Durante il periodo estivo, giovane adolescente, aiutava il compianto Antonio Cantelmo nella storica edicola di Piazza Umberto I. Aveva così la possibilità di leggere i giornali e le riviste dell’epoca che naturalmente non avrebbe mai potuto comprare. Aveva una memoria prodigiosa: gli bastava leggere e subito ricordava ogni cosa. Ci raccontava, a riguardo, un episodio rimasto proverbiale: recandosi spesso dal barbiere del paese, luogo di ritrovo e discussioni di ogni genere, riportava fedelmente tutte le notizie di cronaca, di modo che quasi più nessuno comprava il giornale. Individuato in Sabino il responsabile, l’edicolante lo licenziò in tronco, ritenendolo  causa delle mancate vendite. I genitori si sacrificarono non poco per farlo studiare, visto che egli li ripagava con ottimi profitti e con una obbedienza filiale davvero speciale. Frequentò l’istituto industriale di Avellino, ma alla vigilia degli esami di maturità, il 13 giugno del 1948, il suo amatissimo papà Pasquale morì d’infarto. Per il grande dolore, voleva rinunciare a dare gli esami , ma confortato dai parenti e dagli amici, li superò brillantemente. Purtroppo, il sogno che coltivava da tempo, cioè di diventare ingegnere navale, svanì per sempre. Ora doveva badare a se stesso e alla mamma rimasta senza sostegno economico. Così si mise a cercare un lavoro per provvedere ad entrambi. Superò una selezione per aiuto ricevitore del lotto e dal 1952 al 1987 ha lavorato presso molte ricevitorie della provincia. Studiava anche i numeri e predisponeva giocate ai molti avventori in cerca di fortuna.
Tutti lo cercavano per il suo garbo, la sua educazione, la sua accoglienza. Non poche volte ha aiutato le persone che si rivolgevano a lui con il consiglio e l’aiuto concreto verso i più bisognosi.
Nel 1987, le ricevitorie del lotto furono soppresse ed affidate ai tabaccai. Sabino continuò a lavorare presso la Conservatoria dei registri Immobiliari di via Mancini ad Avellino, fino al pensionamento, nel 1993. Subito dopo si manifestò il male incurabile dal quale fu vinto dopo una strenua lotta durata 7 anni.
Nel 1952 si sposò con la signorina Cucciniello Carmelina, una sua coetanea e vicina di casa con la quale ha condiviso quasi 50 anni di una vita coniugale veramente felice. Dal loro amore sono nati tredici figli, di cui due morti in tenera età.
I gravosi impegni familiari non furono d’ostacolo alla sua sete di conoscenza. Le sue elevate doti umane, sociali e culturali lo resero instancabile ricercatore di fonti e documenti. Man mano che la sua biblioteca si accresceva di libri di ogni genere, collezionava monete, incisioni, monili, codici miniati, stampe, pregiate statuine da presepe, tutte cose rare delle quali conosceva origini e storia perché erano per lui testimoni del tempo e della nostra civiltà e, in particolare, della sua Atripalda che amava più di ogni altro luogo.
Cose raccolte con immensi sacrifici, ma sempre con l’equanime impegno diviso tra il peso di una famiglia numerosa ma unita, da sostenere, e questa affannosa ricerca delle origini della sua città e dei suoi monumenti. Si può ben affermare che hai investito tutto ciò che aveva nella cultura e nell’impegno socio-politico. Visse l’ideale socialista in modo autentico e la sua sensibilità civica si espresse mediante la partecipazione ad Associazioni sia politiche che culturali e ad organismi scolastici, dando sempre contributi caratterizzati da buon senso e apertura verso i più deboli.Gli interessi culturali e la partecipazione alla vita pubblica mai si sovrapposero alla cura della famiglia, che guidò ispirandosi ai valori di fede in Gesù Cristo e che ci indicava come modello di bontà e altruismo. Fu un uomo misurato nel manifestare i suoi sentimenti, mai polemico o aspro, ma umile e modesto nella stessa misura in cui era colto ed erudito. Acquistò da autodidatta, la dotazione tecnica e formativa necessaria per dedicarsi alla ricerca storica. Lo osservavo, in silenzio, mentre scriveva i suoi articoli con la vecchia Olivetti rossa, lettera 22, che aveva comprato con immensi sacrifici. Promosse insieme ad altri la nascita della Pro loco e fece parte del Centro Studi Storici di Atripalda e, insieme, lui ed altri appassionati cultori della storia locale quali pino Cantelmo, Galante Colucci, Raffaele La Sala, Saverio Mauriello, Antonio Porcelli, Vittorio Solimene e altri ancora, nel 1978, si attivarono per fissare in un film gli aspetti più rilevanti di Atripalda, cogliendone elementi storici, architettonici, archeologici e paesaggistici. Non immaginavano gli autori - mentre operavano - quale prezioso documento si sarebbe rivelata di lì a poco la loro pellicola, avendo essi assicurato alla memoria quanto il terremoto del novembre 1980 avrebbe distrutto irreparabilmente. In questa circostanza, ancor più crebbe l’amore di Tomasetti per la ricerca storica, che divenne via via più accurata e metodica, con il gusto fine dello scoprire il dettaglio, il particolare, ciò che ancora è avvolto nell’ombra. Nello stesso tempo, la materia cominciò a chiedere un’impostazione più sistematica e quindi il bisogno di passare dal corpo ristretto dell’articolo a quello più ampio e impostato del respiro lungo, conveniente per una stesura ampia e organicamente distribuita. Di qui i libri.
Sabino Tomasetti era un padre davvero meraviglioso! Anche i nostri amici ci invidiavano. Un padre affettuoso, delicato, sempre presente, con un cuore dolce e semplice di bambino. La vita con lui era una continua scoperta di sensazioni e di emozioni. Ci ha amato teneramente e la sua assenza è oggi, e sempre, per noi, motivo di profonda nostalgia.
Siamo cresciuti spinti da quegli ideali da lui sempre palesati con discrezione, mai imposti: la verità, la solidarietà, l’amicizia, l’onestà, la difesa dei poveri e dei deboli, la cura ed il rispetto della natura. D’estate ci portava sul greto del fiume Sabato, in località Presutto, dove avevamo al possibilità di fare il bagno visto che non potevamo permetterci di andare al mare; ci ha insegnato anche a pescare le famose trote del Sabato e tanti gamberi che, poi portavamo a mamma come trofei perché li cucinasse.
In autunno, di domenica, percorrendo il sentiero di via Tiratore, arrivavamo nella zona di Moneuolo  a cercare i funghi: Noi ci divertivamo a raccoglierli tutti, in particolare quelli colorati ma papà ci insegnava a distinguere le specie commestibili da quelle velenose. Quante passeggiate nella zona dell’antica Abellinum, prima che iniziassero gli scavi da parte degli archeologi! Indicandoci le immense distese di prato che coprivano secoli di storia, sembrava che già vedesse quello che oggi è visibile a tutti. Quante volte siamo andati con lui a Rocca San Felice, nella zona della Mefite, descritta da Virgilio e famosa per i suoi miasmi mortali. Nelle sere d’inverno, stretti intorno al braciere dopo la recita del S. Rosario guidato da mamma, papà ci narrava episodi del Vangelo e ci affascinava con stupende e lunghissime fiabe, popolate di draghi, principesse ed eroi con i quali cullava i nostri sogni.

Ci ha dato la possibilità di realizzarci attraverso gli studi, spronandoci in ogni iniziativa tesa ad accrescere la nostra esperienza umana e spirituale. Uomo dell’ascolto e fine psicologo, sapeva leggere anche i nostri silenzi e ci consolava nei nostri insuccessi mai diminuendo la stima che aveva per ciascuno di noi. Come un fiore di campo, ci ha lasciato il profumo della sua vita semplice. Abbiamo inciso sul marmo che contiene le sue spoglie mortali una frase scritta da lui: “io non ho saputo amare che là, dove la bontà si mescolava con l’umiltà”. La sua eredità continua.

Concetta Tomasetti

 

Concetta Tomasetti



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